Paolo Rugarli – Ingegnere Strutturista – staff@castaliaweb.com

 

Pubblicato su Ingegneria Sismica – 3/2003

Premessa

 

L’8-5-2003 la Gazzetta Ufficiale pubblica l’Ordinanza 3274 che cambia tutte le regole per il calcolo di strutture in zona sismica. L’esame del testo mostra la presenza di numerosi errori alcuni dei quali vengono immediatamente segnalati alle autorità competenti ed agli organi di informazione (il 31/7/2003 poi pubblicati in [1]). Alle segnalazioni risponde il Dipartimento della Protezione Civile, ammettendo l’esistenza di errori: “La normativa ha sicuramente bisogno di un’attenta revisione, inevitabile in un documento così complesso ed innovativo. La revisione era già prevista al momento della emissione della Ordinanza”. Viene poi data notizia di un prossimo errata corrige, informando che a questo errata corrige avrebbero contribuito i professionisti e “tutte le componenti istituzionali e scientifiche interessate”([2]).

Una tavola rotonda tenutasi a Genova il 29/9 fa invece constatare pubblicamente che dell’errata corrige non erano neppure a conoscenza parti rilevanti del mondo istituzionale e scientifico. Il successivo 2/10 viene approvata l’Ordinanza 3316 che contiene ben 122 clausole di errore e di modifica ([3]).

 

Osservazioni di merito 1

 

Un primo insieme di critiche di merito riguarda gli errori contenuti nel testo della Ordinanza 3274. Sebbene l’Ordinanza 3316 abbia formalmente posto rimedio correggendo numerose formule, parole, frasi, resta da capire come sia stato possibile pubblicare e mantenere per cinque mesi sulla Gazzetta Ufficiale una norma contenente tutti questi errori. Si è detto che si tratta di errori di trascrizione, ma in tal caso il Normatore se ne sarebbe accorto subito, invece si ha l’impressione che la emanazione della norma in Gazzetta Ufficiale sia servita per avviare un periodo di rodaggio e di prova, e la platea dei professionisti e delle imprese come beta tester.

Ma anche dopo la pubblicazione della seconda Ordinanza, il testo ha tutta l’aria di restare, globalmente parlando, acerbo, privo di una adeguata riflessione, per la quale non v’è stato tempo. Possiamo senz’altro entrare meglio nel dettaglio elencando alcune delle prime obiezioni, senza nessuna pretesa di esaustività. In realtà la discussione andrebbe oltre i limiti e le possibilità di un articolo su una rivista, e moltissime sarebbero le cose da discutere.

Incominciamo dagli spettri. Si è osservato (Crespellani [4]) che l’esistenza di cinque categorie stratigrafiche come nell’EC8, delle quali però tre sono sempre trattate allo stesso modo nell’Ordinanza (B, C, E) è pedissequa: tanto valeva usare solo tre categorie stratigrafiche ed ampliare la definizione di una delle tre. Le cinque derivano da EC8, ma poi i numeri sono stati cambiati in modo da svuotare il senso originario, che prevedeva cinque categorie ben distinte.

Da un punto di vista analitico si deve rilevare che il codicillo “Si assumerà comunque Sd(T) > 0.2ag” (par. 3.2.5. Spettri di progetto per lo stato limite ultimo, direttamente preso da EC8) ha l’effetto di rendere impercorribili parti rilevanti degli spettri di risposta delle accelerazioni (“d” sta per “design”, non per “displacement”). Infatti se una struttura è posta ad esempio su suolo di categoria A la prescrizione precedente equivale a dire (nell’intervallo di valori TC < T < TD) che periodi maggiori di 5/q non portano ad alcun beneficio in termini di coefficiente di risposta. Proviamo ad immaginare una struttura duttile, con elevato coefficiente di struttura, ad esempio q=5. In tal caso avere periodi superiori a T=1s non porterebbe ad alcun vantaggio in termini del calcolo delle azioni sismiche. Poiché a tale periodo corrispondono all’incirca costruzioni di 8 piani, di fatto costruire edifici più alti non comporta alcun vantaggio in termini di spettro di risposta. Il coefficiente di risposta sul modo dominante di un edificio di 8 piani è eguale a quello di un edificio di tredici o quindici piani. Le conseguenze nella progettazione di edifici alti sono considerevoli. In pratica per i vari suoli valgono le seguenti limitazioni de facto ai periodi, al di là dei quali non si hanno benefici in termini di coefficiente di risposta:

 

SUOLO

q=2

Q=4

q=5

A

2.24

1.25

1

B,C,E

2.80

1.95

1.56

D

3.67

2.6

2.32

 

Vale inoltre la seguente considerazione. Nel caso di una struttura molto duttile, q=5, su suolo tipo A in zona 1 (ag=0.35g), con periodo fondamentale eguale a 2s si deve assumere Sd(T)= 0.2 ag =0.07g. Se però la struttura fosse molto meno duttile, ad esempio si avesse q=2.5, dovrebbe essere calcolata con lo stesso identico valore della accelerazione di progetto Sd(T)= 0.07g. In altre parole, in questo caso, una struttura con q=5 è trattata allo stesso modo di una struttura con q=2.5. Il rapporto tra i due Sd(T) è pari a 1 anziché 2 come avverrebbe senza la limitazione Sd(T)  0.2ag. Ne deriva che sembrerebbe appropriato far variare la accelerazione limite 0.2ag con il fattore q. Altrimenti, paradossalmente, nel caso di edifici alti realizzare strutture duttili non premia, in opposizione allo spirito del metodo del q-factor.

 

Le clausole che definiscono la regolarità di una struttura sono di dubbia interpretazione e di difficoltosa e macchinosa applicazione. Il concetto di “simmetria approssimata” è opinabile e si direbbe che non debba entrare in una normativa tecnica. Nella norma non c’è nemmeno una figura, in questa parte, che invece sembra molto importante. Pochissime, del resto, sono le figure in generale, e spesso, leggendo il testo, si ha l’impressione che la comprensione delle prescrizioni debba avvenire per telepatia: convenzioni, ipotesi ed assunzioni sono date per scontate, anche se, a ben voler vedere, proprio scontate non sono. Ad esempio il fatto che i solai possano essere considerati “infinitamente rigidi nel loro piano” è un fatto quantitativo, non qualitativo: mancano tuttavia, pur dopo attento esame, chiarimenti su cosa occorra fare per assicurarsi che detta condizione sia soddisfatta (mentre nell’EC8 vengono date chiare indicazioni quantitative). Per la regolarità in altezza, il criterio dei rapporti tra i coefficenti di sfruttamento tra piano e piano è stato corretto con la Ordinanza 3316. La formulazione originaria era, ad un’attenta lettura, priva di sufficiente comprensibilità ed appropriatezza logica: “il rapporto tra resistenza effettiva e resistenza richiesta dal calcolo non è significativamente diverso per piani diversi (rapporti compresi tra 0.85 ed 1.15)”. Tali rapporti (che sembrerebbero il reciproco del coefficiente di sfruttamento) dovendo essere sempre >1 come potevano valere 0.85? Ma la Ordinanza 3316 cambia il testo: “il rapporto tra la resistenza effettiva e quella richiesta calcolata ad un generico piano non deve differire più del 20% dall’analogo rapporto determinato per un altro piano”. Il 15% è stato portato al 20% (errore di stampa?). L’EC8 dà il criterio e non valutazioni quantitative. Si è fatto di meglio, e quindi non possiamo accettare come strutture regolari in altezza strutture che abbiano elementi con sfruttamento diverso per più del 20% da piano a piano. E’ un peccato che questo criterio comporti alcune conseguenze illogiche, inappropriate e potenzialmente opposte alle stesse intenzioni della norma. La prima è che la regolarità di una struttura non è determinabile a priori, ma solo a posteriori. Immaginiamo quindi di dover controllare tutti gli sfruttamenti e solo dopo, ad analisi conclusa, potremo avere la prova della regolarità in altezza della struttura. La seconda è che dando una limitazione secca, di fatto si obbliga ad iterare un numero imprevedibile di volte il progetto iniziale, a prescindere dagli effettivi valori di sfruttamento. La terza è che si parla di “resistenza richiesta dal calcolo” come se questa fosse unica e deterministica e non invece diversa da combinazione a combinazione, da metodo di calcolo a metodo di calcolo. Cosa occorrerà paragonare, ci si chiede: le resistenze richieste massime (gli inviluppi) o quelle concomitanti? La quarta, più grave, è concettuale: “la resistenza richiesta dal calcolo” è in larga misura convenzionale, opinabile, soggetta ad approssimazioni ed ipotesi semplificative, talvolta in contrasto tra loro, date da tanti possibili metodi e strade, che ora sono tutti stati implicitamente e separatamente fatti assurgere al ruolo di criterio deterministico di progetto (massima variazione percentuale: 20%).

Il fatto poi che la sola regolarità in altezza valutata con questo sistema assai dubbio sia sufficiente per poter eseguire una analisi statica equivalente in luogo di una analisi modale, è motivo di forte perplessità: una struttura totalmente irregolare in pianta potrebbe essere calcolata con l’analisi statica equivalente.

Il metodo proposto per tenere in conto una eccentricità accidentale delle masse sembra difficilmente applicabile ed in parte è incomprensibile. Infatti l’idea sarebbe quella di scegliere tra le seguenti due possibilità: o amplificare gli effetti delle azioni sugli elementi resistenti di una quantità funzione della loro distanza dal baricentro geometrico dell’edificio (il 30% sugli elementi d’estremità di edifici simmetrici), oppure spostare il centro delle masse di una certa eccentricità predeterminata. Cominciamo dal primo. Intanto nonostante la correzione messa in atto dalla Ordinanza 3316 ancora il Normatore continua a scrivere “amplificando le forze da applicare agli elementi verticali” e non, come in EC8 e come scritto più sopra, “amplificando gli effetti delle azioni nei singoli elementi resistenti”. C’è una netta differenza. Quali sono –ci si chiede– le “forze da applicare agli elementi verticali”, se in una analisi statica equivalente le forze si applicano ai piani, ed in una analisi modaledi forze direttamente applicate non ve ne sono? Perché amplificare “le forze” e non “gli effetti delle azioni”? Perché solo sugli “elementi verticali”? Eppoi: con asse verticale o giacenti in un piano verticale? Forse un diagonale di facciata (asse non verticale) non si carica sotto torsione? E se il diagonale giace in un piano non verticale perché magari la facciata arretra (piano ed asse non verticali)?

Ed ora guardiamo il secondo, quello che consiste nello spostare il centro delle masse, e pensiamo di fare un’analisi modale. Abbiamo un modello con i suoi nodi, e le masse derivanti dai permanenti e dagli accidentali. Ora dobbiamo perturbare le masse corrispondenti alle ipotesi di carico in modo da spostare il centro delle masse di una data quantità. E come si fa senza variare la quantità di massa totale se non in modo arbitrario? A quale nodo levare ed a quale nodo dare massa? Sulla base di quale criterio? Si vuole implicitamente imporre che il piano sia rigido? Ma questo non è affatto obbligatorio in una struttura reale... Sarebbe più logico imporre che gli accidentali abbiano una configurazione anche asimmetrica, e quindi variare il centro delle masse perché obbligati a prendere in considerazione a priori distribuzioni asimmetriche di masse (tra l’altro, verrebbe da dire, assai più probabili). E’ da notare che in EC8 tale torsione accidentale nella analisi modale non si è obbligati a metterla, essa diviene di fatto un caso di carico statico chiaramente definito da inviluppare con gli altri, derivanti dalla modale.

L’obbligatorietà di considerare tale eccentricità accidentale, e l’impossibilità logica di tenerne conto in modo univoco con entrambi i metodi previsti in caso di analisi modale sembra costituire di per sé un grave problema, e rende di fatto inapplicabile l’Ordinanza.

Si fa ora un rapido accenno ad un problema di interpretazione relativamente alla formula che dà il coefficiente di correlazione nella CQC (Complete Quadratic Combination). La formula è la seguente (i e j sono due generici modi):

_bm505

e si dice che il coefficiente βij è eguale a “ωi/ωj”, essendo ωi ed ωj le frequenze di ciascun modo. Il problema di interpretazione è il seguente. Il coefficiente di correlazione ρij deve essere simmetrico, il che implica ρij= ρji . Il coefficiente β però non è simmetrico in i e j, in quanto ωi/ωj ωj/ωi . Sorge allora il seguente problema: occorre considerare sempre il caso ωi/ωj <1, e quindi definire β nel seguente modo βij =min{ ωi/ωj, ωj/ωi }, oppure no? La norma non dice nulla a riguardo nella parte sugli edifici. Nella parte sui ponti, par. 7.1.2, viene invece detto (aggregando una definizione ed una delimitazione)

βij = Tj/Ti   0.8 con Tj<Ti

il che farebbe credere che debba essere sempre β<1. Un recente articolo di Wilson ([5]) riporta una definizione che rafforza questa idea, e che riportiamo qui di seguito:

 

_bm506

 

L’articolo che ha proposto il metodo (dovuto originariamente a Der Kierughian) a riguardo non dice nulla. In effetti si può dimostrare che la formula che dà il coefficiente di correlazione è invariante se al posto di β si mette il suo reciproco 1/β. Quindi β può essere indifferentemente maggiore o minore di uno. Di seguito la dimostrazione:

_bm507

e quindi è del tutto irrilevante mettere β o il suo reciproco. Wilson nel suo articolo voleva evidentemente dire “and they must be equal to or less than 1.0”, e non “it must be equal to or less than 1.0”, come invece chi legge tende a capire.

Sempre relativamente alla parte sui ponti, si è implicitamente assunto uno smorzamento relativo al critico pari al 5%. Perché non lasciare libero il progettista di decidere lui che smorzamento usare, come fatto nel caso degli edifici?

         Ancora nella parte sugli edifici, par. 4.4. Si dice che “nel caso di edifici con struttura in cemento armato, composta acciaio-calcestruzzo e in muratura, la rigidezza degli elementi può essere valutata considerando gli effetti della fessurazione, considerando la rigidezza secante a snervamento”. “Può”. Ci si chiede: si deve o non si deve? In EC8, troviamo “should in general”.

Nella parte relativa agli edifici, par. 5.3.1, parte sul calcestruzzo armato, si definiscono “strutture a nucleo” quelle nelle quali non viene soddisfatta la condizione r/ls > 0.8, dove “r2=rapporto tra la rigidezza torsionale e flessionale di piano” e “ls2=(L2+B2)/12 con L e B dimensioni in pianta dell’edificio”. Prima osservazione: che vuol dire “rigidezza flessionale di piano”? Dobbiamo calcolare come si inflette il piano? Assolutamente no. EC8 dice “rigidezza laterale di piano”, è la rigidezza laterale dell’edificio al piano considerato che occorre valutare, ed inoltre in tutte le “relevant directions”. Quanto poi alla definizione di ls data dalla Ordinanza, essa è valida solo per edifici di forma rettangolare: negli altri casi la definizione è inapplicabile (non bastano L e B per dare le dimensioni in pianta dell’edificio) o sbagliata (caso mai venisse in mente di usare il rettangolo circoscritto alla pianta dell’edificio).

 

Osservazioni di merito 2

 

Si è detto che finalmente si vedono nell’Ordinanza le accelerazioni del terreno vere, quelle veramente misurate in situ durante un terremoto (Tavola Rotonda 29-9-2003, Genova). In realtà queste accelerazioni nei calcoli più frequenti, vale a dire quelli con analisi statica equivalente ed analisi modale con  spettro di risposta, non sono quelle “vere”, ma sono quelle “vere” ridotte in modo artificioso mediante il metodo del q-factor. L’unica importante differenza rispetto a quanto si faceva prima, è che la riduzione tiene conto in qualche modo delle tipologie costruttive e della loro capacità di dissipare energia. Il metodo del q-factor non è un metodo rigoroso, ma è un metodo largamente approssimato, in quanto l’accelerazione di picco corrispondente al collasso della struttura non è valutata direttamente. “La esatta valutazione del q-factor deve essere fatta per mezzo di analisi dinamiche non lineari. Come alternativa molti autori hanno proposto metodi approssimati per la valutazione del q-factor a fini di progetto, ma i risultati corrispondenti sono molto spesso differenti e qualche volta contradditorii. La caratteristica delle normative di nuova generazione è di alleggerire i progettisti da calcoli molto ardui, assegnando il valore di q per le tipologie principali”[6]. Questo è il metodo del q-factor, non è un metodo rigoroso, non è un metodo qualitativamente diverso dal precedente, che comunque usava uno spettro addomesticato a valori ridotti. La attribuzione del q-factor per mezzo di tipologie strutturali serve ad aggirare la necessità di fare calcoli che sarebbero troppo ardui: questa è la realtà dello stato dell’arte.

Finchè non faremo calcoli dinamici nonlineari mediante un gran numero di accelerogrammi reali o realistici, finchè non terremo correttamente in conto la configurazione deformata, finchè non seguiremo fino a collasso il fluire plastico della struttura, noi faremo approssimazioni pesanti e difficilmente quantificabili. Quindi fino ad allora è nostro interesse usare metodi semplici, applicabili ed a favore di sicurezza. Chi lavorando sul q-factor mette in piedi sistemi complicati o addirittura astrusi, dimenticando il modo sostanzialmente approssimato col quale questi q-factor vengono valutati, e dimenticando il fatto che lo stesso metodo dello spettro di risposta è assai approssimato, usa una raffinatezza di valutazione che è puramente fittizia.

Come autorevolmente dice Wilson [5] “gli ingegneri devono chiaramente capire che il metodo dello spettro di risposta è un metodo approssimato, […] che ha significative limitazioni”. “L’Autore [Wilson] ritiene che in futuro saranno eseguite più analisi di time-history e che le molte approssimazioni legate al metodo dello spettro di risposta saranno evitate”. Il metodo dello spettro di risposta “non sarà mai accurato per l’analisi nonlineare e per sistemi a molti gradi di libertà”. E allora, ci si chiede, perché renderlo ulteriormente più difficile con complicazioni tipo il calcolo di una duttilità funzione “della distanza tra il punto di nullo del diagramma del momento e la cerniera plastica”, quando poi l’estensione della cerniera plastica non è valutabile in modo rigoroso, e la sua posizione, come la posizione del punto di nullo del momento, non vengono correntemente valutate in modo preciso? E cosa vuol dire far dipendere dal valore della azione assiale il numero che ci deve dire se siamo in duttilità alta o bassa, e quindi che valore di q usare, e quindi che azioni di progetto usare, impiegando un metodo che comporta decine e decine di combinazioni per magari centinaia di elementi, se non sottrarre al controllo del progettista il dominio del suo progetto, per trasferirlo a procedure automatiche sempre più inutilmente complesse, sempre più difficilmente dominabili? Ma allora che si faccia il vero salto di qualità e si renda obbligatoria la time history nonlineare, allora si avrà una complessità, ma la si avrà utile. Non è il metodo dello spettro di risposta la via maestra, ma la via maestra è ancora troppo complessa per poter essere percorsa dai più, questa è la situazione. Ha senso ammantare metodi pesantemente approssimati con complicazioni che rendono tutti i nostri calcoli macchinosi e impossibili da controllare?

 

         Uno dei motivi per i quali questa Ordinanza ha avuto ed avrà un grande impatto è il fatto che essa abolisce il metodo delle tensioni ammissibili. Tra il metodo degli stati limite e quello delle tensioni ammissibili si dice che non debbano esservi dubbi: sarebbe da preferire il metodo degli stati limite, più moderno, efficace e corretto.

         In linea di principio questo è indubbiamente vero, ma in pratica perdurano una serie di sostanziali perplessità. Finchè il metodo degli stati limite verrà applicato utilizzando i risultati di una analisi elastica lineare, ovvero i risultati di una analisi ottenuta senza alcuna redistribuzione delle azioni interne, in ipotesi di piccoli spostamenti, parlare di metodo degli stati limite e di stato limite ultimo, o anche di “collasso” è improprio e mistificatorio. Infatti benchè si adottino i moduli di resistenza plastici, e si faccia uso di parabole-rettangolo, benchè a livello sezionale si faccia un calcolo basato sulla plasticità, in pratica le azioni interne di calcolo vengono correntemente calcolate con l’elasticità lineare (e le norme lo consentono). Le redistribuzioni plastiche, se ci sono, sono applicate fortunosamente (e sia consentito dire: in modo alquanto convenzionale e pasticciato) mediante il sistema di smussare i picchi dei diagrammi di momento o traslando rigidamente i diagrammi. I meccanismi di collasso e le corrispondenti cerniere plastiche non sono calcolati, ma solo stimati in modo indiretto mediante metodi che saranno anche validi, ma certo solo per strutture “ideali” (per geometria, carichi, vincoli), e non per strutture “reali”.

         Tutti gli stati limite comunque, […] incluso il cosiddetto stato limite ultimo, non hanno implicato una reale penetrazione nell’ambito nonlineare. Questo fatto, in combinazione con la natura statica dei carichi di gravità, ha condotto a correzioni pratiche minori al tradizionale approccio alla predizione della risposta strutturale, lineare (‘ut tensio sic vis’) e basato su forze” [7].

Ma v’è di più, infatti sempre nel 1998 veniva scritto: “solo recentemente è cominciato a diventare chiaro che è più razionale, e potenzialmente più affidabile, sviluppare delle procedure di progetto direttamente basate sugli spostamenti, definendo stati limite basati sugli spostamenti o sulle deformazioni, e quindi riguardanti direttamente il controllo del danno” [7]. La sensazione è che l’impianto dell’EC8 possa nascere in ritardo sostanziale, prima ancora di essere reso cogente.

         Del resto allo stato attuale dell’arte – purtroppo- i metodi abbordabili dalla gran parte dei professionisti sono relativamente semplici: già un’analisi modale, duole dirlo, è un calcolo fortemente complesso per la maggior parte degli ingegneri, i quali non sono stati minimamente preparati a farlo. Ed allora ha forse più senso spianare rapidamente la strada ai metodi davvero rigorosi come le analisi dinamiche non lineari (con la ricerca, con la pubblicazione di seri e curati testi esplicativi, e con il reale supporto ai professionisti, non con corsi frettolosamente organizzati presso gli Ordini professionali, incapaci di soddisfare le reali aspettative), consentendo nel frattempo nei casi più ordinari l’impiego di metodi approssimati chiari, semplici, ed a favore di sicurezza. Un approccio concreto e rispettoso dei principi di base, consapevole di quelle che sono le vere difficoltà e teso a non crearne di inutili. Un approccio, in una parola, sincero. Sotto questo profilo né l’Ordinanza, né lo stesso EC8, pur molto più chiaro e dettagliato della sua frettolosa riduzione in “Ordinanza”, appaiono a chi scrive adeguati allo scopo.

 

Problemi reali

 

Queste nuove Norme Tecniche sono state collegate al crollo della scuola di San Giuliano come se da esse dipendesse il non ripetersi di eventi di quel tipo. Ciò sembra una forzatura. Scriveva autorevolmente Gavarini nel 1989 un importante articolo (“Verso la Nuova Normativa Sismica Nazionale”) nel quale vi è una serie di cose che sembrano estremamente attuali. Ci sia consentito di darne citazione lasciando a lui la parola [8].

Vi è una diffusa ignoranza dell’elevato grado di convenzionalità insito in molte ipotesi e verifiche nonché della esigenza che i modelli di calcolo adottati (e relativi codici per computer) siano aderenti alla realtà progettuale, prima, costruttiva, dopo. Tutto sommato non appare esagerato il dire che si attribuisce, di fatto, un vero potere magico al calcolo in sé. […] In definitiva quasi nessuno in questo Paese crede o è messo in condizioni di credere, agli altri fattori di controllo del rischio”. E sotto la voce “controllo dei materiali”, “qui appena si esce dal campo delle costruzioni più importanti la situazione si può definire tragica”. E sotto la voce “esecuzione” “anche qui sono note le carenze, spesso clamorose, che caratterizzano le modalità esecutive ed i relativi controlli, con prassi perverse diffuse, accettate alla luce del giorno”. E qui Gavarini citava tutte le pessime prassi che nullificano i vari ruoli previsti dalla legge, Progettista, Direttore dei Lavori, Collaudatore. E poi ancora “Se la scossa è abbastanza severa nulla sfugge, e non valgono né i permessi sottratti con l’inganno o con la complicità di controlli frettolosi o meramente formali, né i bolli sulle carte, né i tabulati usciti da potenti elaboratori sulla base di modelli sbagliati o semplicemente vanificati da una infedele esecuzione”. E nemmeno i condoni edilizi ottenuti per costruzioni abusive.

Infatti Gavarini citava, nel suo articolo, un documento dedicato alle costruzioni non ingegneristiche, e scriveva “non è soltanto alle Nazioni in via di sviluppo che bisogna pensare in proposito, bensì anche ai settori minori e sommersi della edilizia di qualsiasi Paese: autocostruzione, costruzioni rurali, abusivismo; e tali settori hanno un peso non trascurabile nella formazione del rischio sismico, come è stato riconosciuto da tutti i presenti in una riunione tenuta a margine della recente 9a conferenza Mondiale di Ingegneria Sismica, peso al quale non corrisponde altrettanta attenzione da parte degli studiosi e delle Autorità.”

 

Critiche di Metodo

 

Un ultimo insieme di osservazioni riguarda il metodo seguito per cambiare le norme. Il metodo della “Ordinanza” senza che preventivamente fosse possibile discutere.

Il testo è stato redatto in 100 giorni, approvato e direttamente posto in Gazzetta Ufficiale. Poi si sono fatti i convegni per spiegare cosa fosse, ed in contemporanea corsi ai quali sarebbe affidato l’arduo compito di formare rapidamente una nuova generazione di progettisti. Libri e documenti di studio sono assenti. Le software house rincorrono, alcune già sbandierano.

Ma in realtà prima bisogna fare i testi, i documenti di studio, i convegni, raccogliere le osservazioni. Poi si devono fare i corsi che danno notizia dei documenti di studio. Poi si deve lasciar passare un tempo sufficiente all’aggiornamento e si deve fare una Norma soggetta ad indagine pubblica. Infine si deve emanare una Norma cogente che sia inattaccabile: questo in un Paese che voglia progredire davvero.

 

Riferimenti

 

[1]Rugarli P., “Norme sismiche, precisazioni sulle novità legislative”, Giornale dell’Ingegnere, 1/11/2003

[2] Dipartimento della Protezione Civile, Lettera Prot. DPC/SSN/0039603 del 17/9/2003

[3] Ordinanza PCM 3316, “Modifiche ed integrazioni all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20/3/2003”.

[4] Crespellani T., intervento nel forum on line della Regione Emilia Romagna

[5] E.L.Wilson “Dynamic Analysis Using Response Spectrum Loading”, CSI Web Site, Technical Papers, www.csiberkeley.com/Technical_Papers.html

[6] ECCS Manual of  Design of Steel Structures in Seismic Zones, 1st ed., 1994, a cura di F.M. Mazzolani., V. Piluso.

[7] Calvi G. M., Performance-based approaches for seismic assessment of existing structures, 11 European Conference Earthquake Engineering, Proceedings, Parigi 1998.

[8] Gavarini  C., “Verso la Nuova Normativa Sismica Nazionale”, atti del IV Convegno Nazionale “L’Ingegneria Sismica in Italia”, Milano 4-6 Ottobre 1989.

 

[1], [2], [3], [4], [5] reperibili in www.castaliaweb.com/ita/norme_sismiche.asp